Storia del Signor G. e di M. che imparò a resistere

di Mariano Mastuccino, Circolo Culturale I Fiori del Vesuvio

Adesso vi racconto una storia.
Vi racconto una storia che non è una storia di stragi di bombe, come le bombe fasciste di Bologna o Milano,
ma una strage di lavoro, di persone che si chiamano lavoratori anche se nessuno più li chiama così ma solo perché non li chiamano così non significa che non esistano,
vi racconto una storia di lavoro fatto e fatto bene e poi rubato.
É una storia che quando l’ho scritta ho pensato che sarebbe stato bello averci l’accento emiliano come Max Collini degli Offlaga Disco Pax, perché non so se c’avete fatto caso ma quando racconta una storia un emiliano sembra sempre che la storia sia più bella, ma io non sono Max Collini degli Offlaga Disco Pax e noi non siamo gli Offlaga Disco Pax (siamo i Fiori del Vesuvio),
e allora racconto la storia con la voce mia che viene bene comunque e poi,
e poi e poi non è importante quale voce racconti una storia,
l’importante è che si racconti.

Vi racconto una storia che è la storia del Signor G.
che però non ha nulla a che fare col Signor G. di Giorgio Gaber anche se Gaber lo conosce e gli piace ma non abbastanza, che se ascoltasse tutto il suo teatro-canzone riderebbe un sacco e lo capirebbe bene,
è la storia del Signor G. lavoratore
che lavorava, lavorava, lavorava,
come diceva Piero Ciampi “Andare, camminare, lavorare!”
e lui andava camminava lavorava
andava camminava lavorava
andava camminava lavorava
e andava al lavoro sempre camminando che la macchina per inquinare e finanziare l’Eni non la voleva,
e andava a lavoro camminando tutti i giorni,
e tutti i giorni tutti i giorni per trent’anni,
per trent’anni dico, trent’anni,
andava camminava lavorava
e lavorava un lavoro un poco speciale
nel senso che se lo faceva lui quel lavoro lì e non qualcun altro
evidentemente lo sapeva fare lui quel lavoro lì e non qualcun altro,
e lavorava tipo con la grafia, anzi no, era la tipografia,
ma più precisamente era un foto-incisore lito-calcografico
che a chiunque mi chieda cosa diamine sia questo foto-incisore lito-calcografico io cerco di spiegarlo e cerco di spiegarlo anche a voi,
che avete presente gli assegni e le etichette dell’acqua? Ecco,
se dovevate bere o dar da bere a qualcun altro quelle etichette e quegli assegni erano i suoi,
che se erano fatti bene erano i suoi, se erano fatti male no di sicuro,
perché il Signor G. lavorava, e il lavoro o lo faceva bene o non lo faceva affatto.

Comunque la storia del Signor G. è la storia di un uomo che per trent’anni ha lavorato in fabbrica,
ma volendo poteva pure non lavorare in fabbrica e risparmiarsi le mani
perché pure se non era un genio come lo era qualcun altro
lui coi grafici, le linee orizzontali e verticali, i puntini rossi sullo schermo ci sapeva fare e poteva andare a fare il radarista alla NATO,
che per chi non sapesse cosa è la NATO è quella cosa che mette le basi militari ma chiede agli altri di toglierle,
e pure se soldi non ne aveva sapeva fare i conti e poteva pure andare a lavorare in banca,
che per chi non sapesse cosa sono le banche sono quei posti dove metti i soldi e poi per riprenderteli devi prima dare altri soldi,
ma il Signor G. con la NATO e le banche proprio non ci voleva avere a che fare, che preferiva averci le mani sporche del nero della macchina più che verdi di banconote, più che grigie di bomba,
che se non fosse andato a lavorare in fabbrica
(e io questa cosa la penso sempre)
non sarebbe mai nato M. perché il Signor G. non avrebbe mai incontrato la Signora C., che poi è mia madre perché,
se ancora non si fosse capito,
il Signor G. è mio papà.

La storia del Signor G. è la storia di un uomo che ha lavorato in fabbrica ma che non si limitava a lavorare nonostante già ai suoi tempi chi insegnava a lavorare non insegnava già più a pensare,
ma il Signor G. spesso pensava e non pensava male:
pensava che chi lavora deve pure pensare all’altro che lavora accanto a lui,
a chi gli sta a destra
a chi gli sta a sinistra,
a chi gli sta intorno,
e pensava che bisognava pensare pure all’azienda quando l’azienda si dimentica di pensare all’azienda,
infatti il Signor G. pensava sempre che c’erano cose che non andavano bene lì dentro,
e mentre gli altri colleghi lavoravano e lasciavano stare e magari lavoravano male,
lui rompeva sempre le scatole a tutti
che questa cosa qui non va bene,
che qui dentro ci vogliono le mascherine,
che questo prodotto è infiammabile,
che questo agente è pericoloso,
che questa macchina è obsoleta ci fa lavorare male,
che questa tecnica è vecchia oggi non la cerca più nessuno,
che qui dentro ci sono nuvole di polvere strana bisogna fare i controlli,
che i controlli si fanno ma i controllori sono controllati,
che perché nessuno s’interessa qui?,
e sembrava che non importasse a nessuno, che si fossero tutti dimenticati come si lavora bene.
Infatti la storia del Signor G. lavoratore
è la storia di un lavoro dimenticato
ed è la storia del padrone che lo ha rubato due volte:
la prima lo ha rubato quando ha deciso di fare il padrone e che parte del lavoro dei lavoratori non dovesse essere retribuito,
la seconda l’ha rubato quando ha deciso di fare il padrone e che proprio il lavoro di tutti i lavoratori non dovesse esistere nemmeno più.
E quindi la fabbrica l’ha chiusa, il padrone, tenendosi in valigia profitti, profitti e più profitti e portandoli dietro nella sua villa e sul suo yacht,
ma dato che abbiamo dato nomi e cognomi e abbiamo detto che il Signor G. è il Signor G.
diamo altri nomi e cognomi e diciamo che il padrone è il signor d.
ma con le lettere piccole che non si merita il tempo e lo spreco della Maiuscola.

La storia del Signor G. non finisce quando il signor d. chiude la fabbrica e va a stare nella sua villa e sul suo yacht,
la storia del Signor G. lavoratore e dei suoi colleghi lavoratori
continua con gli scioperi e l’occupazione della fabbrica
continua con le trattative coi sindacati
che per chi non sapesse cosa sono i sindacati, sono quella cosa che dovrebbe difendere i diritti dei lavoratori
ma quella volta tra i diritti del Signor G. e gli interessi del signor d. sembra si ricordassero solo gli interessi del signor d.
e allora il signor d se n’è andato e il Signor G è rimasto ed è rimasto ad occupare fino a che ha potuto
che ricordo che il Signor G. stava in fabbrica a occupare e io e la Signora C. stavamo in casa a fare le cose che si fanno in casa
e nel frattempo che stava in fabbrica e occupava pure se non aveva letto Marx e gli avevano sempre detto che i rossi sono tutti brutti e cattivi
lui pensava che se il padrone la fabbrica non la voleva più
se la potevano prendere gli operai
che alla fine le mani nell’inchiostro nero ce le mettevano loro e allora perché no?
Perché?
Perché quando pensi queste cose ma non c’hai la parola per convincere gli altri
almeno hai bisogno di quelli che la parola ce l’hanno,
quelli con le bandiere e i simboli importanti
ma se quelli con le bandiere e i simboli importanti
si ricordan le bandiere e non i simboli importanti,
il Signor G. rimane solo coi suoi colleghi lavoratori e allora,
e allora niente,
allora.
Allora non sono niente neanche quelli con le bandiere.

Ma adesso mi direte cosa vuole questo qui che viene a parlarci di politica e bandiere e simboli importanti e rossi e padroni e operai pure qui che si parla di lavoro
e io vi dico che sì,
lo ammetto odio il capitalismo
ma questo s’era capito,
e vi dico che non è possibile non parlare di politica quando si parla di lavoro e
che non è possibile in generale non parlare di politica quando si parla di qualsiasi cosa
perché non parlare di politica è impossibile tanto quanto è impossibile non pensare
e “trattenersi dal pensare è impossibile tanto quanto è impossibile trattenersi dall’interpretare”
e questa ultima cosa qui non la dico solo io che sono solo un allegro ragazzo morto ma risorto, attenzione, risorto,
la diceva uno che di nome faceva Italo e di cognome Calvino che tutto intero fa Italo Calvino
che ha fatto la resistenza sulle montagne
e che qualcuno mi dice che gli assomiglio
nel senso che penso quello che pure lui pensava e scriveva pure se non l’ho mai letto
e qualcuno dice che io sarei la sua reincarnazione
e pure se io non lo so se crederci oppure no a questa cosa della reincarnazione
mi piace pensare che pure io come l’ha fatta lui sulle montagne faccio la resistenza
ma la faccio col foglio e con la penna quando vi racconto la storia del Signor G.
che torna a casa e non lo vuole dire che ha perso il lavoro e che l’occupazione non è servita e che per anni dovrà arrangiarsi a mettere tute blu di nascosto
al nero
per campare avanti la famiglia
e non lo vuole dire perché magari quel giorno lì è pure il compleanno di M. e magari ha vinto pure una medaglia a una corsa campestre
ma lui lo capisce che il papà ha perso una cosa più importante e da quel giorno lì è tutta un’altra storia,
da quel giorno lì M. capisce che deve fare la resistenza
che magari ancora non sa come farla ma sa che la deve fare
che magari ancora non sa se la vincerà e magari la perderà ma sa che deve farla,
perché a raccontare storie di lavoro non ci si sporca le mani,
a rubarlo sì.

vincenzo moretti

Sociologo e Narratore. Sono nato nel 1955 da Pasquale, muratore e operaio elettrico, e Fiorentina, bracciante agricola e casalinga. Desidero quello che ho e continuo ad avere voglia di cambiare il mondo.

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