Site fridde ‘e chiammata

C’era una volta l’Italia in cui il lavoro, non solo quello nelle scuole, negli uffici pubblici o negli ospedali, anche quello nei cantieri, nelle fabbriche e nelle botteghe artigiane, durava tutta una vita, cominciavi a lavorare in un posto e ci rimanevi fino a quando non andavi in pensione. Certo, anche allora non mancavano le eccezioni, ma la regola era quella, non solo in Italia, e quella regola determinava una connessione forte tra il lavoro e l’identità, delle persone e delle loro famiglie.
Nei quartieri ci si riconosceva dal nome di battesimo e dal lavoro del capofamiglia ancora più che dal cognome. A Secondigliano Tonino era per tutti il figlio di Raffaele, il tecnico dell’Italsider, a San Siro Sergio era il figlio di Ambrogio, l’operaio della Pirelli, a San Polo Stefania era la figlia di Lorenzo, che le rose più belle le vendeva lui al mercato di Rialto. E Raffaele, Ambrogio, Lorenzo condividevano tra loro e con tutti gli altri come loro la fierezza di poter mandare i figli a scuola, l’ansia di conquistare per sé e la propria famiglia un futuro migliore, il rispetto che si deve a chi questo futuro se lo costruisce ogni giorno con lavoro e sacrificio.

In quella Italia lì il lavoro non finiva con la giornata di lavoro, continuava la sera a tavola quando venivi interrogato su quello che era successo a scuola e aggiornato su quello che era successo in fabbrica, talvolta era persino il lasciapassare per invitare a casa un nuovo amico o  una nuova ragazza. “Fattell cu chi è megli ‘e te e fanc’ e spese” (frequenta le persone migliori di te e rimettici le spese) era uno dei modi di dire più gettonati di papà, e la domanda “cosa fa suo padre?” prevedeva una risposta vera e una valutazione meditata.
No, no, che dite?, n
on era necessario che facesse l’avvocato o il medico, anche perché dalle nostre parti non è che ne girassero molti, bastava dire l’operaio, il muratore, il salumiere, il ragioniere, l’importante è che si guadagnasse da vivere con il lavoro, che anche a quei tempi a Secondigliano non è che fosse del tutto un fatto automatico.

Lo vogliamo dire?, e diciamolo!, il lavoro era così presente nelle vite di noi ragazzi che in certi momenti diventava insopportabile.
A casa Moretti galeotto era l’Enel di via Galileo Ferraris e chi ci lavorava come operaio, mio padre. Sì, perché lui con la sua licenza di quinta elementare niente sapeva di Marco Tullio Cicerone, Pitagora, Aristotele e Averroè, eppure aveva il suo ipse dixit fatto in casa, cioè al lavoro, nel senso che avevi voglia di discutere se una cosa era vera o falsa, giusta o sbagliata, quando profferiva la formula magica, “l’hanno detto all’Enel”, si metteva il punto. Così. Di colpo. Niente più da discutere e tanto meno da interpretare. Era così. Fine. L’hanno detto all’Enel e tanto basta.

Ora lo so che l’avete capito già perché vi sto raccontando tutto questo. Vedete, questa nostra Notte del Lavoro Narrato quando l’abbiamo pensata neanche ce lo siamo sognati che sarebbe diventata così bella, grande, partecipata. Sì, lo dico senza scaramanzia, che pure chi mi conosce sa che come ogni vero napoletano allo scongiuro ci tengo assaje, io quest’anno trascorrerò il più bel Primo Maggio della mia vita (e certo, che pensavate che dicessi che il 30 Aprile andrà tutto benissimo, e che so’ scemo?) eppure questa cosa della Notte a casa non sta funzionando come potrebbe. Come avrebbe detto papà, “site fridde ‘e chiammata” (rispondete in maniera fredda alle sollecitazioni). Ora io lo capisco che se nelle vostre città c’è un’iniziativa pubblica voi andate là per vivere questa notte magica assieme agli altri, ma in Italia abbiamo più di 8000 comuni e le iniziative pubbliche non arrivano a 100, possibile che non riusciamo a far scattare la molla che fa sì che, non dico assai, in mille case italiane quella sera le famiglie, le amiche, gli amici, si riuniscano per trascorrere qualche ora assieme a leggere, narrare, cantare storie di lavoro?

Dite che sono pazzo? Che stiamo a dieci e voglio arrivare a mille? Secondo me no, secondo me se scatta la molla diventa un fiume in piena. Però per scattare la molla bisogna che ognuna/o di voi si dia da fare, passi parola, condivida, faccia girare la voce.
Io fino all’ultimo non mi stanco. Voi potete fare finta di niente, o potete decidere di dare una mano, vedete voi, tanto vi voglio bene a prescindere. Però sappiate che ce la possiamo fare. Quella del 30 Aprile 2014 sarà una notte meravigliosa. Sì, ‘na nuttata e sentimento. E nun è fatta pe’ durmì.

ps.
Nella foto manca Nunzia, che ha il vantaggio di essere giovane e lo svantaggio di non stare nelle foto “d’epoca”.
Nella vita ci mancano mamma, papà e soprattutto Gaetano, quello in braccio a mamma, che lui non è “normale” che ci manca, che lui è un vuoto che ti accompagna per sempre, e tu puoi soltanto cercare di cogliere ogni occasione per ricordarlo, con un libro, un post, una frase, o anche “prendendoti” il nome suo e facendolo diventare parte del nome tuo. Con Gaetano ci siamo raccontati il lavoro fino all’ultimo e il mio piccolo pezzetto di questa grandissima, meravigliosa notte è dedicato a lui.
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vincenzo moretti

Sociologo e Narratore. Sono nato nel 1955 da Pasquale, muratore e operaio elettrico, e Fiorentina, bracciante agricola e casalinga. Desidero quello che ho e continuo ad avere voglia di cambiare il mondo.

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